martedì 30 ottobre 2018

Le storie misteriose a Firenze non finiscono mai...


GINEVRA DEGLI ALMIERI
Visite guidate a Firenze con ARTEMIDE


Questa volta vi raccontiamo la storia di un fantasma che ogni primo martedì del mese aleggia nel pieno centro cittadino, incurante dei milioni di turisti che invadono le strade di Firenze. 

Molti di loro non sanno che nel tratto più famoso della città, tra Piazza Duomo e Piazza della Signoria, poco distante dall’affollatissima Via dei Calzaiuoli, esiste una piccola piazza, Piazza del Giglio, che sembra proprio il luogo preferito del fantasma di Ginevra degli Almieri.


Ginevra era una bellissima ragazza vissuta nel XIII secolo e che, proprio per il suo aspetto ed i suoi modi gentili, aveva molti pretendenti nonostante lei avesse occhi solo per Antonio Rondinelli, un giovane di origini modeste di cui era profondamente innamorata. Purtroppo per lei però, il padre Bernardo, intento a perseguire più gli interessi economici della famiglia che la felicità della figlia, decise di darla in sposa ad un facoltoso commerciante, di diversi anni più vecchio di Ginevra, Francesco Agolanti. Una volta celebrato il matrimonio Ginevra si trasferì nelle case degli Agolanti in Piazza del Giglio, ma poco a poco cominciò a cambiare completamente la sua personalità, perché venne invasa da un sentimento di tristezza e malinconia che la portarono a condurre una vita apatica, senza più alcuna speranza di poter vivere felice. Iniziò così ad isolarsi e a mangiare sempre meno, tanto che anche la sua bellezza cominciò a sfiorire mentre appariva sempre più smagrita e malata. Fino a che una mattina venne trovata distesa sul letto a mani giunte, immobile e apparentemente morta. Così venne organizzato il funerale: vestita con l’abito bianco con cui si era sposata, venne adagiata su una tavola di legno adornata con fiori e trasportata in Duomo, dove fu celebrato il rito funebre e poi portata nel sepolcro di famiglia all’interno del cimitero che all’epoca si trovava vicino al campanile. Durante la notte, quando tutti se n’erano andati, Ginevra aprì gli occhi! 

E’ facile intuire lo spavento da cui venne pervasa non appena si rese conto di dove si trovasse, per cui con le poche forze che aveva, animata dalla paura, corse verso casa e bussò alla porta per poter essere accolta. Il marito però quando si affacciò alla finestra e vide che a bussare era una figura tremendamente bianca e spaventosamente simile alla donna che aveva da poco sepolto, pensò che fosse il fantasma di sua moglie, così ordinò alla servitù di non aprire per nessuna ragione. Ginevra allora, ancor più terrorizzata, pensò di rivolgersi ai genitori, ma anche loro ebbero la stessa intuizione di Francesco. Alla ragazza non rimaneva altro che provare a chiedere aiuto al suo vecchio amore e inaspettatamente fu proprio il bell’Antonio che non solo la riconobbe ma la accolse in casa e l’aiutò, nei giorni successivi, a rimettersi in forze. Quando Francesco venne a sapere che Ginevra non solo non era morta, ma stava vivendo con un altro uomo, andò su tutte le furie rivolgendosi alle autorità. La sentenza però del vicario del vescovo lasciò tutti di stucco: dato che il matrimonio era stato sciolto dalla morte, Ginevra ora era legittimamente libera di stare con chi voleva! Fu l’inizio quindi di una nuova vita per la ragazza che tornò così a sorridere e a sperare nel futuro.
Ginevra degli Almieri Ginevra degli Almieri 1936 Cinema e Medioevo

Non siamo ancora in grado di stabilire se la storia di Ginevra sia frutto della pura fantasia dei fiorentini o se sia una donna realmente vissuta, quello che è certo è che la sua storia è molto famosa tanto da aver ispirato opere letterarie e anche un film del 1936 che porta il suo nome come titolo.


Articolo a cura di Lavinia Franceschi

Visite guidate a Firenze con ARTEMIDE....
TOUR SUGGERITO PER SCOPRIRE INTRIGHI E MISTERI:  I DELITTI

martedì 23 ottobre 2018

FANTASMI IN TOSCANA, LA STORIA CONTINUA...


MISTERI NASCOSTI ED INTRIGHI NELLA VILLA DI CERRETO GUIDI
Visite guidate a Firenze con ARTEMIDE


Isabella de Medici, famosa per la sua bellezza e una morte avvolta nel mistero. Si dice che il suo spirito aleggi ancora all'interno della Villa di Cerreto Guidi.

La storia di fantasmi più famosa nella provincia di Firenze è quella che riguarda una delle figlie del primo Granduca di Toscana, Cosimo I, ed Eleonora di Toledo.
Un’antica leggenda narra che nella bellissima Villa Medicea di Cerreto Guidi, un piccolo paese incastonato tra le suggestive colline toscane, in cui nel 1564 Cosimo fece costruire una delle residenze familiari di campagna, aleggi ancora il fantasma di Isabella dei Medici (1542– 1576).

Si tramanda e si racconta ai cerretesi fin da piccoli da secoli che Isabella, donna bellissima e solare, veniva chiamata la stella di casa Medici perchè riusciva ad abbagliare chiunque incontrasse con la sua luce. Purtroppo, però, sarebbe stata vittima della gelosia del marito, Paolo Giordano Orsini, spesso assente dal tetto coniugale per impegni di lavoro che lo portavano molto lontano.
Si racconta quindi che Isabella abbia approfittato dell’assenza del marito per consolarsi con il cugino di quest’ultimo. Quando Paolo Giordano Orsini venne a scoprire il tradimento, organizzò la sua vendetta che si consumò proprio nella Villa di Cerreto. Aspettò che la moglie si coricasse nel suo letto, collocato al piano terra della villa e, una volta addormentata, le mise un cappio al collo che scendeva dal soffitto. Aiutato da due sicari nascosti al piano superiore che tirarono la fune, uccise la giovane donna di casa medici. Da quella notte, lo spirito di Isabella sembra non aver più lasciato quella villa e tante persone, nel corso dei secoli, sono state disposte a giurare di averla vista, percepita e sentita.

Ad oggi, tutta questa storia non è altro che un’avvincente leggenda noir che però è stata completamente riscritta grazie ai recenti studi di Elisabetta Mori che ne “L’onore perduto di Isabella dè Medici” ribalta completamente questa tradizione popolare. Grazie ai documenti originali trovati dalla studiosa, in particolare le lettere d’amore che i due coniugi si scambiavano nei periodi in cui erano costretti a vivere lontano l’uno dall’altra, si è potuto stabilire che il matrimonio tra Isabella e Paolo Giordano era un matrimonio d’amore che la lontananza non aveva scalfito.


Questi scritti testimoniano come Isabella, seppur giovanissima, avesse un’importante malattia alle vie urinarie (oppilazione – un “intasamento” delle vie biliari, ma anche urinarie e intestinali) che la portò alla morte.
Effettivamente questa malattia, che le portava anche delle difficoltà nella deambulazione, spiegherebbe anche la ragione per la quale la camera da letto della donna si trovasse al piano terra anziché al primo piano, o piano nobile, solitamente adibito agli appartamenti dei padroni di casa.
Questa nuova importante scoperta serve non solo per smentire la presenza del fantasma nella villa di Cerreto Guidi, ma anche per rivalutare la figura di Isabella e ridonarle l’onore che era stato cancellato da mille calunnie degli storici che per secoli l’avevano descritta come una donna priva di freni morali  e dedita ai tradimenti.

Articolo a cura di Lavinia Franceschi


Visite guidate a Firenze con ARTEMIDE

martedì 16 ottobre 2018

HALLOWEEN A FIRENZE - STORIE DI FANTASMI



FIRENZE E I SUOI MISTERI...


In ogni angolo di Firenze possiamo trovare dei dettagli che ci raccontano storie e tradizioni molto curiose dei personaggi che nei secoli hanno animato strade della città e abitato i suoi palazzi. 


Per esempio, se vi trovate a passare da Piazza Santissima Annunziata oltre ad ammirare il rinascimentale portico che il Brunelleschi realizzò per l’Ospedale degliInnocenti, o la bella statua del Giambologna che rappresenta Ferdinando I a cavallo e che domina la piazza, o lo scorcio suggestivo della cupola che si affaccia in fondo a via dei Sevi, ricordatevi di guardare anche una finestra di Palazzo Budini Gattai


Questo palazzo, che in origine si chiamava Grifoni per la famiglia che lo costruì nel XVI secolo e lo abitò per prima, è quello a destra di via dei Servi (stando con le spalle alla chiesa) e caratterizzato dal colore rosso dato dai mattoni a vista. Con il naso all’ insù noterete che l’ultima finestra dell’ultima stanza a destra del primo piano ha sempre i battenti delle persiane aperti, sia che ci passate di giorno che di notte, al alba o al tramonto, insomma sempre! Questo perché secondo la tradizione questa finestra nasconde una bella storia di amore e fedeltà. Si racconta infatti che nel cinquecento una giovane e bella fanciulla fosse data in sposa ad un rampollo della famiglia Grifoni. Per cui, dopo il matrimonio, la ragazza si trasferì nel nuovissimo palazzo di famiglia da poco terminato da Giuliano di Baccio d’Agnolo e l’Ammannati in Piazza Santissima Annunziata. 

A differenza di molti matrimoni dell’epoca, celebrati soprattutto per interessi economici e sociali delle rispettive famiglie, questa fu invece una coppia legata da un amore profondo e sincero l’uno per l’altra che garantì loro una breve ma intensa felicità. Purtroppo infatti, poco dopo le nozze, il giovane Grifoni venne chiamato alle armi. Così indossata l’armatura si congedò dalla moglie con grande dignità, consapevole che doveva andare a fare il proprio dovere e che così facendo avrebbe onorato il nome della propria famiglia. Lei, in lacrime, lo guardò allontanarsi proprio da quella finestra a cui rimase affacciata finché il ragazzo non scomparve alla sua vista. Decise quindi di non chiudere più quel battente in modo tale che si potesse affacciare continuamente nella speranza di veder tornare il suo amato. Purtroppo però lui perse la vita in battaglia, ma lei non si arrese mai e continuò a nutrire la speranza di vederlo attraversare la piazza in senso contrario, stando sempre affacciata a quella finestra. Quando anche lei morì, i suoi eredi tentarono di chiudere la persiana della finestra, ma dovettero desistere dal loro intento quando si accorsero che ogni qual volta che qualcuno ci provava, in quella stanza succedeva di tutto: libri che cadevano, mobili che traballavano, lumi che si spengevano e un gran vento gelido si innalzava nella stanza. Tutto tornava normale invece quando la persiana veniva riaperta. Così venne deciso di lasciarla sempre aperta in modo tale che lo spirito di quella donna che sembrava ancora aleggiare nella stanza, potesse continuare ad attendere il marito. Da allora tutti impauriti da quello spirito innamorato, nessuno ha più osato chiudere quella persiana!

martedì 2 ottobre 2018

LA COLONNA DI SANTA TRINITA


Raccontiamo la storia di una delle tante colonne che ci sono a Firenze, tra viaggi, furti e giustizia



Come molte delle colonne che si possono ammirare passeggiando per Firenze, anche la colonna di Santa Trinita ha la sua storia da raccontare, ed è senza dubbio la più alta e più bella di Firenze. 

La colonna di Santa Trinita venne donata a Cosimo I da parte del Papa Pio IV nelle seconda metà del XVI secolo. Proveniva dalla natatio, ossia la piscina monumentale delle terme di Caracalla a Roma ed è l’unica colonna di questo antico monumento arrivata integra fino a noi.

E’ un monolite in granito alto 11,17 metri e pesante 50 tonnellate, ed è quindi facile intuire le difficoltà che s’incontrarono durante il viaggio di trasporto verso Firenze supervisionato da Giorgio Vasari, che era era l’incaricato di seguire tutte le fasi di questo tragitto.

Il viaggio iniziò nell’estate del 1562 e coinvolse uomini e mezzi del cantiere di San Pietro che si attivarono per trasportare la colonna da Roma al mare, attraverso il Tevere.
Le difficoltà non mancarono e nonostante gli sforzi, per compiere questo primo tratto, ci vollero due mesi raggiungendo la folle velocità di 120 metri al giorno!
Raggiunto finalmente il mare, la colonna venne caricata su un’imbarcazione mandata da Cosimo I e molto probabilmente fatta costruire per l’occasione, ma nonostante questo non fu facile arrivare a Livorno perché subì anche uno scontro con due navi turche. Arrivò così nella città labronica solo nel marzo del 1563, ma ancora il viaggio non era concluso: si doveva risalire l’Arno, altra impresa non facile a causa della scarsa portata del fiume in quel periodo che impedì di raggiungere Firenze, obbligando gli uomini e l’importante carico a fermarsi a Signa.
A luglio di quello stesso anno iniziò il trasporto via terra della colonna che finalmente arrivò nel capoluogo toscano il 26 settembre 1563, oltre un anno dopo l’inizio del suo cammino.

Venne eretta l’anno successivo, dopo essere stata rimaneggiata dall’Ammannati. Il luogo in cui fui deciso di porla fu una scelta ben precisa di Cosimo che voleva celebrare l’importante vittoria contro i senesi registrata dai fiorentini nella battaglia di Marciano (combattuta circa dieci anni prima:il 2 agosto 1554).

Dato che l’allora Duca di Firenze aveva ricevuto la lieta notizia proprio di fronte la chiesa di Santa Trinita, dette ordine che quest’importante colonna venisse issata nello stesso punto in cui si trovava in quel giorno importante. 
Pochi anni più tardi, la colonna venne arricchita da una lapide alla base che riporta il nome del signore di Firenze e da una bellissima statua in porfido rosso di Francesco del Tadda rappresentante la giustizia sulla sommità. Solo la statua è alta più di tre metri ed è stata realizzata assemblando insieme con perni metallici sei pezzi diversi di porfido, forse anch’essi di origine romana.


Le storie di San Francesco, Domenico Ghirlandaio. Cappella Sassetti, Chiesa di Santa Trinita, Firenze
Negli anni successivi l'inaugurazione della statua della giustizia, avvenne un episodio molto curioso. Alcuni ragazzi che erano soliti giocare a palla sul Ponte Vecchio vennero accusati di furto quando dei gioiellieri si accorsero della mancanza di alcune pietre preziose dai loro banchi. Nonostante i ragazzi si fossero dichiarati innocenti, fu proibito loro di avvicinarsi di nuovo al ponte. I furti, però, continuarono a ripetersi anche dopo questo divieto.
Artemideeventi su Firenze


Articolo a cura di Lavinia Franceschi 




lunedì 17 settembre 2018

La Florentia Romana, il Foro romano e la Scuola. Dedicato agli studenti


Come sappiamo bene, Firenze è una città molto antica fondata dai Romani nel I secolo a.C., indicativamente tra il 15 ed il 30 a.C.
Dopo essere arrivati a Fiesole sulle tracce di Catilina, i Romani videro la grande palude a ridosso dell’Arno e, dato che erano alla ricerca di nuove terre da dare ai vecchi legionari di guerra in pensione (a seguito de la Lex Iulia voluta da Giulio Cesare), bonificarono il territorio e costruirono una nuova colonia: Florentia.
Realizzata sul modello del castrum, l’accampamento militare romano, la città aveva la tipica forma di un quadrilatero, protetta da mura turrite e suddivisa all’interno in tante insulae (isolati) create dal fitto intreccio dei cardi e decumani minori (a Firenze esistevano sette cardi e sei decumani).
C’erano poi il cardo maximus ed il decumano maximus, le due strade principali che dividevano la città in quattro parti uguali e che si incontravano esattamente al centro della città. Intorno a quest’importante incrocio si sviluppava il foro romano, che era il cuore pulsante di ogni città romana e che, nell’attuale arredo urbanistico, corrisponde alla centralissima Piazza della Repubblica.
Il foro di Florentia era il centro della vita pubblica cittadina: ospitava un mercato e i principali edifici pubblici e religiosi, come il Tempio Capitolino (così chiamato perché dedicato alla triade capitolina, ossia le tre divinità più importanti dell’antica Roma: Giove, Giunone e Minerva) o il tribunale decorato con statue che rappresentavano magistrati ed imperatori.


Intorno alla piazza si trovavano dei portici, un po’ come oggi, che servivano come luoghi d’incontro per le persone, ma soprattutto servivano ai maestri per svolgere le loro lezioni. Infatti, a differenza di come siamo abituati oggi, non esisteva un edifico chiamato “scuola”, bensì gli alunni si incontravano col maestro e insieme cercavano un luogo adeguato in cui svolgere le lezioni quotidiane.

Ovviamente i portici rappresentavano il luogo ideale soprattutto nelle giornate di pioggia o quelle particolarmente assolate. Molto spesso anche le persone che passavano casualmente di lì si appoggiavano alle colonne ad ascoltare il maestro per origliare e provare ad imparare qualche concetto di base. L’istruzione primaria dell’epoca (indirizzata soprattutto ai bambini maschi) era abbastanza basica, ma oltre a leggere, scrivere e contare si facevano imparare a memoria agli alunni anche le leggi che regolavano la vita dell’epoca. Ogni bambino aveva con sé una tavoletta di legno ricoperta di cera su cui si esercitavano a scrivere incidendo la cera con un pennino (stilo) di bronzo.
Quando invece ci si doveva esercitare nella lettura, sotto i portici del foro si alzava un gran brusio perché all’epoca si leggeva sempre a voce alta. 
Pochi erano poi quelli che decidevano di continuare gli studi, perché la maggior parte dei bambini, una volta imparate queste nozioni fondamentali, doveva lavorare per sopperire ai bisogni della famiglia. I fortunati che continuavano, a partire dai 12 anni, iniziavano allora a studiare materie più complesse come grammatica, letteratura latina e greca e la retorica, cioè l’arte di parlare in pubblico. Questi studi avanzati non si svolgevano più per la strada, ma nelle case degli studenti diventando quindi delle lezioni private.


Articolo a cura di Lavinia Franceschi
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martedì 4 settembre 2018

La festa della Rificolona: venerdì 7 settembre



La sera del 7 Settembre, vigilia del giorno in cui si celebra la natività della Vergine, Piazza Santissima Annunziata a Firenze si illumina con tante lanterne colorate chiamate rificolone.
La Festa della Rificolona è una delle tradizioni più antiche e più sentite della città gigliata e da sempre ha luogo nella piazza sulla quale si affaccia la chiesa della Santissima Annunziata, uno dei complessi mariani più importanti del capoluogo toscano. Molte persone da secoli si danno appuntamento proprio durante la giornata del 7 settembre per venerare l’immagine della Vergine conservata in questa chiesa.

La storia dell’origine del nome di questa lanterna viene dai contadini, che in occasione di questa festa, iniziavano a viaggiare fin dalla notte per potersi accaparrare i posti migliori nella piazza e poter vendere i loro prodotti in città.
Durante il tragitto fino in città, si servivano di queste lanterne che erano tutte diverse per forma e materiale, a volte di carta a volte di stoffa, per illuminare il loro cammino. Al mercato, i contadini e le loro mogli diventavano l’intrattenimento preferito dei fiorentini che si divertivano a prenderli in giro per i loro abiti umili e i loro modi goffi e maldestri.
Soprattutto le donne sembravano essere il miglior bersaglio per i motti scherzosi dei giovani fiorentini, che arrivarono a coniare per loro una nuova parola: fiericulona, sottolineando così la pienezza di quelle donne che arrivavano dalla campagna per partecipare alla fiera.
Col tempo questa parola si è trasformata in rificolona ed è stata usata anche per indicare le lanterne che avevano con loro, che un po’ le ricordavano per rotondità e colori sgargianti. Non era quindi difficile sentire i giro la canzoncina beffarda “ona, ona, ona, ma che bella rificolona!”.

Da allora queste lanterne sono diventate e continuano ad essere ancora oggi le protagoniste della festa, tanto da chiamarsi con lo stesso nome. Inizialmente erano illuminate da candele al loro interno, poi sono state sostituite da lampadine in modo tale da salvare la carta delle rificolone dalla minaccia del fuoco, ma non dalle cerbottane. Infatti queste curiose lanterne hanno da sempre vita breve, perché i bambini armati di cerbottane cercavano di colpire le rificolone distruggendole ogni volta che il colpo andava a segno, e tutt'oggi la tradizione continua.



Oggi come allora, queste lanterne sono appese in cima ad alte canne o pertiche, ed è possibile vederle la sera del 7 Settembre quando sfilano per tutta la città prima di arrivare in Piazza Santissima Annunziata. Il giorno seguente invece ancora oggi viene organizzata una fierucola, o piccolo mercatino, con prodotti locali e di artigianato manuale che permette ancora oggi di riscoprire i sapori più tradizionali.

Articolo a cura di Lavinia Franceschi
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martedì 28 agosto 2018

OH BISCHERO! La vera leggenda fiorentina


Passeggiando per Firenze può capitare di ascoltare autentici fiorentini parlare tra di loro e distinguere, tra una C aspirata e l’altra, la parola Bischero.Quando si dà del bischero a qualcuno non è certo per fargli un complimento, ma in maniera bonaria e scanzonata, vogliamo in realtà dargli del poco furbo.
Questo modo di dire, nato a Firenze e poi diffusosi anche nelle zone limitrofe, ha origini antiche.  

I Bischeri erano una famiglia fiorentina che sul finire del XIII secolo aveva “uscio e bottega” nella zona in cui oggi sorge la Cattedrale di Santa Maria del Fiore. All’epoca esisteva già una chiesa in quest’area della città: si chiamava Santa Reparata, ma era molto più piccola di quella che conosciamo oggi ed era circondata dalle abitazioni dei fiorentini.   
Quando nel 1296 si decise di realizzare la nuova maestosa cattedrale di Firenze che sarebbe dovuta diventare lo specchio della grandezza economica raggiunta dalla città  in quel periodo storico, si dovette, però, ricavare lo spazio necessario per le dimensioni straordinarie che la chiesa avrebbe dovuto avere. Così venne offerto un indennizzo a tutte le famiglie che avevano le loro proprietà proprio a ridosso di Santa Reparata in modo da acquistare i loro terreni, distruggere le abitazioni e avere così un nuovo spazio che sarebbe stato ben presto occupato dal nuovo cantiere.Tutti accettarono la proposta fatta dalle autorità fiorentine tranne la famiglia dei Bischeri che sperava di ottenere un’offerta migliore continuando a rifiutare proposte sempre più vantaggiose. Si racconta che all’ennesimo rifiuto, però, non ci furono più nuove offerte, semplicemente una notte Firenze si svegliò avvolta dai fumi di un incendio scoppiato proprio nella casa dei Bischeri, che si ritrovarono alla fine senza soldi, senza casa e senza bottega, facendo proprio la figura dei bischeri. 

Una volta conclusa, Santa Maria del Fiore diventò la cattedrale più grande che si fosse mai vista. Le sue dimensioni lasciavano impressionati gli uomini medievali e, negli ultimi settecento anni circa, solo tre chiese l’hanno superata in grandezza. Ancora oggi, infatti, si colloca al quarto posto nella classifica delle chiese più grandi del mondo.


Testo a cura di Lavinia Franceschi
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